Quando questa sciagura sarà finita però va assolutamente aperta una costruttiva discussione su cosa non ha funzionato sia nelle operazione di contenimento e spegnimento, ma soprattutto cosa è mancato in termini di vigilanza e controllo di quello che è uno dei parchi nazionali tra i più grandi e importanti d’Italia, oltre che uno dei vulcani attivi più pericolosi e più controllati al mondo.
Di sicuro nella prima fase quella della vigilanza c’è ancora tantissimo se non tutto da fare, visto che questo problema, anche se in dimensioni, inferiori si ripresenta puntualmente tutti gli anni, forse va fatta finalmente una seria e analitica discussione politica su come sviluppare le potenzialità del nostro stupendo parco nazionale, che al momento è solo una grande montagna, abbandonata dagli agricoltori per i vincoli del parco nazionale, e non trascurata dall’ente preposto che per troppo tempo ha pensato solo a pagare stipendi e poco ad investire per la creazione di un volano di sviluppo ecosostenibile.
Sulla questione della gestione dell’emergenza invece, si sono visti tantissimi uomini tra professionisti e volontari fare più di quello che potevano, senza ne mezzi ne un’organizzazione tale da poter rendere efficacie il loro lodevole lavoro. Anche in questo caso la colpa può essere attribuita alla catena di comando che ha inesorabilmente fallito.
Per questi motivi mi auguro che la vista del ministro all’Ambienti di oggi ad Ottaviano sia una presa d’atto del grande fallimento reso ancora più assurdo dal fatto che questa zona dovrebbe essere sempre pronta ad affrontare delle probabili emergenze di ancora più grande portata.